Azzardo, gli italiani spendono di più, ma lo Stato incassa meno. E la criminalità ingrassa

di XC.

Gli italiani giocano di più, sempre di più. E il fisco guadagna di meno, sempre di meno. Mentre chi fa i veri affari è la criminalità organizzata. Lo Stato biscazziere, poi, sta alla finestra e benedice. E’ questo il succo della relazione della commissione Antimafia presieduta da Beppe Pisanu sulle infiltrazioni della criminalità nel comparto dei giochi, approvata pochi giorni fa dalla commissione.
“Il fenomeno del gioco legale e illegale in Italia – è l’allarme di Pisanu – costituisce ormai una grave patologia sociale e una delle fonti principali di arricchimento della criminalità organizzata. Le entrate assicurate all’erario non possono giustificare l’ampliamento dell’area del gioco. Oltre all’incalcolabile danno sociale che si riversa sui giovani e i ceti più deboli, è accertato che per ogni euro incassato dallo Stato la criminalità organizzata ne incassa almeno dieci considerando il gioco lecito e illecito”.
La raccolta dei giochi in Italia tra il 2003 e il 2010, si legge nel corposo documento a cui gli esperti commissione stanno lavorando da tempo, “è stata complessivamente di 309 miliardi di euro e il comparto dei giochi pubblici e delle scommesse sportive si è affermato come settore trainante del sistema Paese. L’intero comparto ha visto aumentare i volumi di raccolta ad un tasso medio annuo del 23% tra il 2003 e il 2009 (da 15,4 a 54,3 miliardi di euro) e del 13% nel 2010, raggiungendo la cifra di 61,433 miliardi di euro (+296% rispetto al 2003)”.
Nonostante la crescita del volume di affari per gli operatori tra 2009 e 2010, il gettito per le casse dello Stato è però diminuito: nel 2010 infatti “le corrispondenti entrate erariali sono state pari a 8,733 miliardi di euro. Comparate a quelle dell’anno precedente, che registravano un totale di 8,799 miliardi di euro, sono diminuite di circa lo 0,8% a fronte di un incremento della raccolta pari al 13%”. Uno dei motivi che possono spiegare questo andamento, si sottolinea nel rapporto, è il fatto che è aumentato la passione degli italiani nei confronti di giochi, che a differenza di quelli tradizionali come il lotto, hanno una tassazione inferiore.
I dati di per sé fanno tremare le vene ai polsi. E in futuro sarà probabilmente anche peggio, se pensiamo che solo pochi giorni fa è stato dato il via libera ad un altro mercato potenzialmente enorme: un miliardo e mezzo di giro d’affari stimato ogni mese, praticamente una mezza finanziaria. E’ quello del cosiddetto poker online in modalità cash e dei casinò games per internet: una serie di specialità a cui il Governo ha dato il suo placet definitivo con la frettolosa approvazione della manovra finanziaria e che da inizio settimana sono giocabili sul web. E una ricca torta a cui le cosche non resteranno certo indifferenti. “Stiamo monitorando con attenzione anche questo mercato – conferma al fattoquotidiano.it Marcello Tocco, coordinatore dell’Osservatorio socio economico sulla criminalità del Cnel – anche se per ora siamo ancora all’inizio. Quel che è certo è che il faro delle organizzazioni criminali sul nuovo comparto è acceso”.
Basti una notizia filtrata silenziosamente la scorsa settimana a dare la cifra delle attenzioni che i clan riservano al settore: tre affiliati alla ‘ndrangheta sono stati arrestati a Reggio Calabria per aver cercato di imporre con la violenza e le minacce ad un imprenditore, gestore di una sala giochi autorizzata dal Monopolio, l’utilizzo di un sofisticato software per il poker on line. E questo è solo un caso. Gli esempi contenuti nella relazione sono anche più allarmanti.
Il settore che le cosche tradizionalmente utilizzano come veicolo di riciclaggio e reinvestimento di denaro sporco si conferma secondo gli esperti quello delle cosiddette “macchinette” da bar o da sala giochi. Secondo le informazioni della Guardia di Finanza citate nel rapporto, due terzi di quelle installate in Italia nel 2007 risultavano essere abusive. Duecentomila “slot machines” in totale, che fruttavano alla criminalità una raccolta stimata di 45 miliardi, tre volte tanto la somma controllata dalle casse dello Stato.
Significativo il caso degli apparecchi collocati in magazzino (circa 40.000 secondo la relazione ) che, in realtà, possono tranquillamente essere in esercizio, senza connessione alla rete telematica. Esempio lampante quello di un concessionario che aveva collocato in un esercizio pubblico in Sicilia. Circa 27.000 apparecchi, tutti insieme e nella stessa data.
Le zone grigie del mercato dei giochi, spiega il rapporto, sono terreno fertile per le società legate alle cosche che puntano sul riciclaggio di denaro. L’enorme giro scoperto dalle fiamme gialle durante un’operazione che nel 2009 ha portato all’arresto di 30 persone in tutta Italia ha messo ad esempio in luce una filiera di società di comodo facenti riferimento, dietro lo schermo iniziale del prestanome, alla famiglia di un noto imprenditore. Che utilizzava i proventi derivanti dai videopoker clandestini reinvestendoli nelle sale bingo di sua proprietà in diverse regioni.
“Altro aspetto caratterizzante delle indagini – si legge nella relazione – è il respiro internazionale degli investimenti dei clan”, che, ad esempio, nel 2010 hanno portato sulla scorta delle indagini italiane al sequestro delle quote di una delle società britanniche più importanti tra quelle operanti nel settore delle scommesse on-line.
“La penetrazione della criminalità nel settore dei giochi è in effetti molto preoccupante – spiega Ranieri Razzante, uno degli esperti di antiriciclaggio che hanno contribuito alla stesura del documento e presidente di Aira, l’associazione dei responsabili antiriciclaggio – e va dall’imposizione dell’acquisto di slot machine, al taroccamento delle macchine da gioco per evadere il prelievo fiscale. E con il gioco online, che viene utilizzato ancora una volta per riciclare denaro sporco, è ancora più facile sfuggire ai controlli attraverso lo stabilimento delle piattaforme internet all’estero”.
Ma il rischio per i giochi, e per gli italiani, non è solo quello derivante dagli interessi della criminalità. A rimetterci, vista le crescente passione dello Stato per il “tavolo verde” sono gli stessi cittadini: 500mila quelli a rischio di ludopatia nel Paese. Gli allarmi lanciati dagli esperti sono stati numerosi, ma inascoltati.
“Quello che è successo – spiega al fattoquotidiano.it Carlo Giovanardi, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega alle politiche della famiglia e alle dipendenze – è che l’esigenza di varare la manovra velocemente ci ha impedito di presentare le modifiche che avremmo desiderato. Ciò non significa che non lavoreremo ora per modificare i punti critici: ad esempio io ho la ferma intenzione di vietare la pubblicità per quanto concerne il gioco online. E poi avviare un ragionamento serio sul sistema costi-benefici di questo crescente ricorso ai giochi per lo Stato”.
Per ora a rimetterci sono quei 500mila italiani (e forse più) a rischio Ludopatia e a ringraziare sono gli operatori nazionali e internazionali non sempre trasparenti, come quelli bloccati solo qualche mese fa dall’Fbi.
Le proposte per tutelare la salute dei cittadini al momento sono rimaste tutta sulla carta, nonostante le promesse, e sarebbe strano il contrario vista la passione che questo esecutivo sembra dimostrare per il tavolo verde. Probabile che anche le proposte per la tutela dei cittadini (magari dei più giovani) contenute in allegato alla relazione alla fine si perderanno nei meandri del Palazzo

3 thoughts on “Azzardo, gli italiani spendono di più, ma lo Stato incassa meno. E la criminalità ingrassa

  1. Ultima chiamata

    Chi si salverà dall’apocalisse prossima ventura della Seconda Repubblica? Non B., le cui performance al bungabunga, per quanto penose (soprattutto per le ragazze), sono comunque migliori di quella di ieri alla Camera. Non Bossi, che ha deciso di perire con lui, abbracciato al suo cadavere politico. Non Tremonti, avviato sul viale del tramonto per casini di case. Non i Responsabili o come diavolo si chiamano: basta guardarli in faccia.

    Potrebbero salvarsi gli oppositori, almeno quanti riusciranno a essere o almeno ad apparire alternativi alla casta e al berlusconismo: ma appaiono tutti impallati, ingessati, imbalsamati. Bersani e D’Alema li possiamo salutare con una prece, grazie alle gesta dei loro fedelissimi Morichini, Pronzato, Penati & C. Ma il Pd è un grande partito e potrebbe redimersi con un salto di genere (Bindi) o di generazione (Zingaretti). Piercasinando è un simpatico trasformista, ma basta dare un’occhiata accanto a lui per notare Cesa e sentirsi male. Rutelli non pervenuto. Fini ha sbagliato tutte le mosse tranne una (mollare B.). Vendola si dibatte tra un’immagine di leader movimentista e una realtà di governatore continuista e parecchio sgangherato. Di Pietro oscilla fra un passato di tribuno da piazza e una concorrenza grillina che lo spinge a cercar voti fra i centrodestri in fuga.

    Eppure un’occasione d’oro per scrollarsi di dosso la puzza di casta ce l’avrebbero: il referendum elettorale per cancellare il Porcellum di Calderoli (e Casini) e riportare in vita il Mattarellum. Che aveva mille difetti, ma almeno consentiva agli elettori di scegliersi direttamente – collegio per collegio, con l’uninominale – il 75% dei parlamentari (il resto era distribuito col proporzionale). Il quesito porta le firme di Di Pietro, di alcuni big democratici (Bindi, Veltroni, Parisi) e di Migliore di Sel. L’11 luglio è stato depositato in Cassazione e ora si tratta di raccogliere almeno 500 mila firme entro il 30 settembre.

    Dopodiché non si potranno più proporre referendum sino a fine legislatura, il che significa che alle elezioni del 2013 dovremmo votare con il Porcellum, cioè lasciar nominare i 945 parlamentari da cinque segretari di partito. A meno che, si capisce, il Parlamento non cambi la legge elettorale: mission impossible, visto che non solo non c’è una maggioranza su una proposta alternativa, ma i due partiti maggiori sono spaccati al loro interno su una miriade di proposte inconciliabili. Solo la pistola puntata del referendum potrebbe indurre le Camere a un estremo atto di resipiscenza. Dunque non si scappa: bisogna raccogliere mezzo milione di firme in meno di due mesi. Parisi e Di Pietro hanno annunciato al Fatto che passeranno l’estate ai banchetti (l’Idv anche per abolire le province).

    Ma gli altri? Che aspettano i finiani ad aderire e darsi da fare, per sottrarre a Pdl e Lega i voti di tanti italiani di destra schifati da una legge che è la quintessenza della casta? E l’Udc? E Sel? Ma soprattutto: a che gioco gioca il Pd? Le feste estive dell’Unità (o come diavolo si chiamano) sono il luogo ideale per raccogliere le firme. Ma l’astuto Bersani, non contento di aver boicottato e ignorato i referendum su legittimo impedimento, acqua e nucleare, salvo cavalcarli quando si rischiava di vincerli e metterci il cappello quando si sono vinti, sta ripetendo quel tragico errore per tenere insieme il Pd, diviso – tanto per cambiare – su cinque o sei posizioni. D’Alema, all’inseguimento di Casini, tifa proporzionale. E il maggioritario Veltroni, che era addirittura fra i promotori, ha cambiato idea: come sempre è pro “ma anche” contro.

    Ora però i casi sono due. O il Pd (con Fli, Sel e Udc) dà una mano a Di Pietro e a Parisi, e allora le firme si raccolgono, il referendum si fa, il quorum si raggiunge e il Parlamento di nuovo eletto dal popolo recupera un briciolo di autorevolezza. Oppure crolla tutto e chi finisce sotto le macerie è bene che ci resti.
    Ps. Da oggi sono in vacanza, quindi questa colonna si diraderà un pochino. Ma conto di tornare presto.

    Il Fatto Quotidiano, 4 agosto 2011

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